ùOltre al già annunciato appuntamento con la seconda parte del miniromanzo "Alba di Ghiaccio" di Pamela Marsilii, al quale seguirà il gran finale nel prossimo numero, i Racconti Stellari di questo numero di GSNet tornano a parlare di Episodio I, con un racconto davvero intenso, delicato e toccante scritto con mano felice dalla nostra Padawan Lys e collocato cronologicamente qualche ora prima della festosa parata di chiusura de La Minaccia Fantasma. Perché in realtà le allegre immagini del finale nascondono una situazione ben più complessa e dolorosa, e la gioiosa musica della banda non deve farci dimenticare che una breve e sanguinosa guerra si è appena conclusa e non è stata senza conseguenze. George Lucas preferisce non dircelo, forse per non rovinarci la festa, ma le ripercussioni del conflitto di Naboo sono state devastanti non solo per le diverse razze che abitano il pianeta e per il venerabile Maestro Jedi che ha dato la sua vita per la loro libertà, ma anche per colei che, con coraggio, le ha guidate alla riscossa e alla vittoria. Conseguenze che, ora che le armi finalmente tacciono, si sono cristallizzate nel dolore e nell'angoscia di una giovane ragazza il cui lignaggio regale ha costretto a crescere troppo in fretta. Perché anche le guerre vittoriose, purtroppo, hanno un prezzo...

IL PREZZO DELLA VITTORIA

di Luisa “Lys” Monnet

Nella sala del trono di Theed tutti gli sguardi erano rivolti alla regina, attendevano le sue parole e le sue decisioni dopo la battaglia appena terminata. Il governatore Bibble, il capitano Panaka, Boss Nass e il suo stato maggiore, erano tutti riuniti in un cerchio a rispettosa distanza. Amidala sentì su di sé i loro occhi e si sforzò di mantenere un’espressione tranquilla sotto il trucco bianco. I Neimodians erano stati sconfitti, Naboo era stata riconquistata dal suo popolo, ma...

“Capitano, quante perdite?” domandò, rivolgendosi all’ufficiale di colore.

Panaka respinse un foglio che qualcuna delle sue guardie gli aveva portato. “Circa mille vittime, Vostra Altezza e più di duemila feriti. Almeno settecento Gungan sono periti nella battaglia contro la droide-armata.” Il sospiro della regina fu impercettibile, forse nemmeno le sue ancelle lo udirono. “Inoltre molti degli abitanti di Naboo hanno avuto le case saccheggiate e distrutte dalla milizia neimodiana. Per ora sono stati accolti presso i campi di emergenza che abbiamo istituito all’estremità della città.” proseguì implacabile Panaka.

La regina assentì brevemente. “Molto bene, domani stesso saranno iniziati i lavori di ricostruzione. Il nuovo Cancelliere Supremo ci ha garantito il sostegno della Repubblica; voglio che siano assicurato vitto, alloggio e cure mediche a tutti i bisognosi.” Fece una pausa. “Il Maestro Yoda del Consiglio degli Jedi mi ha offerto poco fa l’aiuto dei loro guaritori. Che venga creato un ospedale nell’ala sud del Palazzo, in modo da agevolare il loro compito.”

Tacque e guardò le persone intorno a lei, con un sottinteso invito a parlare. Ma pareva che nessuno avesse nulla da obiettare, tutti i volti esprimevano soddisfazione e un nuovo, crescente rispetto per la giovane regina.

Amidala si alzò dal seggio reale, sottolineando la fine della riunione. I dignitari e i rappresentanti delle varie popolazioni coinvolte nella guerra lasciarono silenziosamente la stanza. La regina chiamò Panaka con un cenno e gli sussurrò a bassa voce, “Capitano, cos’ha deciso il Consiglio degli Jedi... circa il Maestro Qui-Gon Jinn?”

“Hanno fissato il rito per domani, Vostra Altezza, al tramonto.” Esitò un attimo, poi aggiunse, “Le spoglie del Maestro Jedi al momento si trovano nel cortile cieco dell’ala sud. Il Consiglio degli Jedi sta onorando il caduto con una seduta di meditazione.”

Amidala lo ringraziò con un cenno del capo e guardò il capitano allontanarsi. Represse un improvviso brivido di freddo.

Eirtaé, una delle sue fidate compagne che avevano diviso con lei i pericoli di quei giorni, dovette avvertire il disagio della sua signora poiché le si avvicinò e le sussurrò con voce gentile: “Altezza, non avete desiderio di riposare? La giornata è finita ormai e la vostra camera è pronta. Possiamo aiutarvi a prepararvi per la notte, se lo desiderate.”

La regina si guardò intorno nella grande sala vuota e per la prima volta in tutto il giorno si accorse della stanchezza che attanagliava il suo corpo sfinito. Guardò gli occhi limpidi di Eirtaé e la ringraziò. “Non sarà necessario. È stata una giornata lunga e noi tutte abbiamo bisogno di riposo. Avverti che mi ritiro per qualche ora.” Era quanto poteva concedersi, c’era ancora così tanto da fare...

Mentre percorreva gli ampi e sonori corridoi si imbatté improvvisamente nella piccola e grassoccia figura del Maestro Yoda, proveniente dall’ala sud. Il vecchio accennò un buffo inchino, nonostante il bastone che lo impacciava. I suoi grandi occhi spalancati si posarono attentamente sul volto delicato della giovane. Amidala si sentì quasi sottoposta a un esame, ma quello sguardo intenso pareva proiettare intorno a sé un’aura di serenità e di gravità tale che per un istante fu tentata di inchinarsi lei a ossequiare quella venerabile figura.

“Molta stanchezza sento in voi, giovane signora.” esclamò infine il Maestro Jedi, con il suo tono stravagante, “Giornata faticosa huh? Decisioni gravi sono state prese. È tempo di riposo ora. Meritato abbiamo..” Fece qualcosa a metà tra un risolino e un sospiro e si allontanò con andatura zoppicante, senza aspettare una risposta.

 

Amidala rimase per un attimo immobile, perplessa e divertita allo stesso tempo. Pure il suo incontro con il vecchio Jedi le aveva causato una strana sensazione di sollievo che non seppe spiegare e che servì in parte a scacciare la stanchezza e il senso di angoscia che non l’avevano mai abbandonata in quelle ore.

Eirtaé poteva aver avuto ragione riguardo alla necessità di riposare, ma il silenzio ovattato che l’accolse quando ebbe chiuso la porta della camera, non le fu di aiuto. Nessuno aveva capito che la frenetica attività di quelle ore era stata l’unica barriera sufficiente contro i tanti pensieri che di ora in ora le si affollavano sempre più numerosi nella mente.

Con un leggero sussulto la giovane donna si rese conto che da parecchi minuti si trovava immobile al centro della stanza, lo sguardo perso nel vuoto. Doveva scuotersi, con gesti lenti e svogliati si liberò del pesante abito ricamato che aveva dovuto indossare per ricevere il Consiglio degli Jedi e si rinfrescò il viso appesantito dal complesso trucco che da sempre era simbolo del suo titolo.

Compì quei gesti macchinalmente, quasi senza vedere gli oggetti che toccava, a mala pena consapevole del mobilio sfarzoso e familiare che la circondava. Il vasto letto ricoperto dalla ricca trapunta, il raffinato tavolino da notte, con intarsi incisi dai più esperti artigiani del pianeta, le tende sottili che si piegavano agli sbuffi di vento che venivano dalla finestra passavano inosservati, come persi in un nebuloso passato.

Davanti agli occhi scuri di Amidala erano altre le immagini che continuavano a sovrapporsi: i raggi laser costanti e spietati dei fulminatori dei droidi, i suoi sudditi che cadevano uno ad uno per coprirla, gli echi lontani del terribile confronto tra le potenti armi da guerra dei Nemoidians e un pugno sparuto e quasi disarmato di quelli che erano stati definitivi “primitivi”.

Dovette sedere sul bordo del letto, la testa le girava: il suo orgoglio e il desiderio di riconquistare il suo pianeta avevano causato così tanta sofferenza.

Si guardò intorno, lo sguardo smarrito e impotente, cercando da qualche parte una giustificazione valida. La finestra aperta infine richiamò la sua attenzione: era la più grande delle quattro finestre che incorniciavano la curiosa planimetria a cupola della sua stanza. Gettando un’occhiata distratta, Amidala si rese conto che la notte stava infine scendendo sul palazzo e sul resto della città. C’era ancora un debole barlume di luce rosata che colorava le antiche mura della reggia.

No... non era l’ultimo sprazzo del tramonto quello che si vedeva, bensì la luce dei quattro bracieri che erano stati accesi nel cortile cieco. La luce proveniva in effetti dalla seconda finestra, posizionata proprio sopra l’ala sud.

Si alzò dal letto e salì lentamente i due gradini che portavano ai vetri socchiusi. Li aprì un po’ di più e si sporse dello spazio necessario per guardare in basso, con un leggero senso di vertigine e di vergogna, perché ricordava le parole di Panaka e la sua le sembrava un’intromissione al Codice severo e riservato degli Jedi.

Si rincuorò però quando vide che la seduta di commemorazione doveva già essere terminata. Davanti al catafalco che conteneva il corpo di Qui-Gon Jinn, al riparo da occhi indiscreti, non c’era più nessuno. Poi, guardando meglio, con una rapida stretta al cuore, Amidala si rese conto che non tutti se ne erano andati: Obi-Wan era ancora lì, avvolto nel mantello scuro che era stato di Qui-Gon, in ginocchio davanti al letto funebre, immobile, completamente indifferente al mondo circostante.

Amidala non poteva vedere il suo viso da quella altezza, a mala pena scorgeva la nuca reclina. Il suo primo impulso fu di richiudere i vetri e correre giù da lui, ma improvvisamente ricordò l’espressione che aveva avuto Obi-Wan solo il giorno prima quando era scesa nella sala del generatore, dopo che gli era stato riferito l’esito del duello. Le dita le si bloccarono sulle manopole della finestra.

 

Li avevano trovati nella sala del generatore e una volta resosi conto della gravità della situazione, il capitano Panaka era corso a informarla.

Vestita ancora dell’abito da battaglia, nei panni di Padmé, lo aveva ascoltato con la massima calma, cercando di ignorare il battito tumultuoso del cuore che le assordava le orecchie.

“... Quando siamo arrivati giù, il misterioso guerriero era sparito e da quello che abbiamo potuto capire è stato Obi-Wan Kenobi ad abbatterlo, facendolo cadere nel pozzo d’energia. Purtroppo nella lotta il Maestro Qui-Gon Jinn è rimasto ucciso, Altezza.”

Qui Panaka si era fermato e l’aveva guardata, il viso improntato a un’espressione di gentile rammarico. Per qualche secondo era stato difficile dominarsi, ma quando finalmente Amidala era riuscita a parlare, la sua voce era risuonata calma e tranquilla, solo leggermente accorata.

“Obi-Wan è ancora nella sala del generatore, capitano?” aveva chiesto.

“Sì, non ha voluto lasciare il suo maestro... che ordini devo dare?”

“Me ne occupo io, capitano, personalmente.” La replica era venuta decisa, pronunciata con forza, a smentire qualunque tentativo di protesta.

Era scesa fino all’immenso labirinto di ponti che conduceva alla sala del pozzo; le porte laser erano già state disattivate dai suoi uomini. La vista di Obi-Wan inginocchiato, con ancora tra le braccia il corpo senza vita di Qui-Gon l’aveva turbata profondamente.

Con cautela si era inginocchiata accanto a lui, tentando di catturare la sua attenzione. “Obi-Wan, ascoltami, devi posarlo ora.” Il suo tono era stato sommesso e gentile, ma per diversi minuti il giovane Jedi l’aveva ignorato, il viso nascosto dietro i lunghi capelli scomposti di Qui-Gon, le mani posate debolmente sul viso bianco e inerte del Maestro Jedi.

Finalmente aveva sollevato uno sguardo spento e annebbiato dalle lacrime e senza proferire parola, aveva adagiato delicatamente il corpo di Qui-Gon sul nudo pavimento della sala.

Sconvolta da quel dolore, non osando neppure sollevare lo sguardo sulla figura esanime del Maestro ucciso, Amidala aveva improvvisamente sussultato quando, nel ripiegare le braccia di Qui-Gon sul petto, Obi-Wan aveva scoperto per un attimo l’orribile segno scuro che la doppia spada laser del malvagio guerriero aveva lasciato. D’istinto vi aveva posato la mano sopra, desiderando di annullare non solo il profondo marchio bruciacchiato, ma il corso stesso del tempo, cancellare quello che ormai era stato compiuto e che non poteva più essere riparato... Quando infine era riuscita ad alzare gli occhi aveva scoperto che Obi-Wan la stava guardando...

 

Non era riuscita a interpretare quello sguardo e non si era mai chiesta cosa avesse pensato in quel momento, se si fosse risentito di quel gesto. Però ora non poteva più aspettare...

Scese rapidamente, senza far rumore le scale e aprì la porta che dava sul cortile, ma qui si fermò nuovamente.

Obi-Wan non era più solo, il vecchio Yoda lo aveva raggiunto. I due erano fermi davanti al catafalco, senza parlare, il Maestro Jedi era leggermente più indietro rispetto al giovane apprendista. Ora, da quella posizione, Amidala poteva vedere anche il corpo di Qui-Gon, velato da un drappo, una figura indistinta nella penombra del porticato. Non aveva avuto neanche il tempo di ringraziarlo...

Un mormorio indistinto interruppe il corso dei suoi pensieri. Yoda mormorava qualcosa a Obi-Wan: lei non poteva sentire cosa stesse dicendo, ma la voce arrochita del vecchio aveva assunto un ritmo gentile e pacato. Per un attimo la mano nodosa del minuscolo rappresentante del Consiglio si posò sulla spalla contratta di Obi-Wan, che sembrò rilassarsi leggermente.

La regina indietreggiò di qualche passo; era di troppo lì, non avevano bisogno di lei. Il fuoco avvampava con un suono più smorzato, non si udiva alcun rumore in tutta la corte, erano soli nella notte di Theed, ma lei si sentiva comunque fuori posto. E in qualche modo sentiva che anche il proprio dolore, il rammarico e il senso di colpa per le decisioni prese, per gli amici che aveva sacrificato, tutto sbiadiva di fronte alla serenità di quella piccola figura che si protendeva a confortare l’altra.

Una volta, a bordo dell’astronave che li riportava su Naboo, percorrendo i ponti nelle spoglie di Padmè, aveva sorpreso Qui-Gon in meditazione, in ginocchio, le braccia appoggiate sulle ginocchia, gli occhi chiusi. Dalle labbra gli sfuggivano a tratti delle frasi cadenzate, come dei versi... solo più tardi aveva riconosciuto l’antico Credo degli Jedi.

 

“Ci sono emozioni, eppure abbiamo la Serenità.

C’è il caos, eppure regna anche l’Armonia.

Ci sono passioni, eppure può esserci Equilibrio.

Spesso c’è irruenza, eppure noi coltiviamo la Pazienza.

C’è molta ignoranza, ma la Conoscenza è saggezza.

Verrà la Morte, ma c’è la Forza.”

 

Lentamente, insensibilmente, prima una poi l’altra, le lacrime presero a scorrere sul viso di Amidala. Non c’era dolore o affanno, non c’era neanche più rimorso, solo la pienezza di quel momento, la consapevolezza del prezzo della vittoria, che si offriva davanti a lei, nella visione dei due Jedi, raccolti davanti all’amico scomparso.

Senza fare rumore, da sola, si allontanò nella notte, senza esser vista né udita da alcuno.

Pure, sul viso rugoso di Yoda passò un breve sorriso accorato e per un istante chiuse gli occhi, indirizzando un messaggio che era al contempo una preghiera e un incoraggiamento.

“La Forza è con voi, giovane signora. Presto, grazie ad essa, il dolore superato sarà. Un nuovo cammino e una nuova vita vi attende. Pronta ora siete, regina di Naboo.”